Sulla base di una macrostruttura virtuale, costruita sulle cornici purgatoriali degli incontinenti, da alcune “disattenzioni” narrative, una confusione di papi, uno scambio di re, una biografia romanzata, con al centro un’enigmatica conversione segreta, Alberto Granese, in La coscienza metaletteraria di Dante: le rifrazioni strutturali della «Comedìa», coglie gli indizi della fretta ansiosa del poeta di giungere all’incontro non più dilazionabile con i lettori, a cui pur doveva una persuasiva spiegazione non dell’ordinamento di un singolo regno ultramondano, come del resto aveva già fatto, ma dell’architettura generale del poema, delle ragioni strutturali che lo fondano.
Ne segue, quindi, il racconto itinerale dall’evocazione delle esperienze poetiche del passato, tra il distacco e la svolta decisiva della loro conferma, e dalla rappresentazione di personaggi-poeti, in funzione metonimica del loro “corpus” lirico, alla coraggiosa sfida da lui lanciata all’ortodossia e al verisimile con la geniale invenzione dei corpi aerei, dando alle «ombre» una “vita vera” per salvare e garantire l’esistenza reale delle prime due cantiche, all’abile adozione della chiave metaforica dell’esegesi scritturale come espediente di strategia diegetica per dinamizzare e umanizzare la terza, all’equilibrata valorizzazione della componente etico-politica e della responsabilità individuale insite nel libero arbitrio in funzione poetica e letteraria, che attraversa, come un’immensa rete di “infrastrutture”, l’intera costruzione poematica, senza le quali non sarebbe stato possibile edificarla così come la conosciamo.
Nella seconda parte della monografia, Granese fa emergere l’altro, insostituibile ruolo fondativo che Dante, con rigorosa consapevolezza metaletteraria tra «intenzion de l’arte» e «fren de l’arte», per alternare e bilanciare dottrina, diegesi ed “exempla”, assegna alla musica, dai canti corali delle beatitudini e dei salmi degli spiriti purganti e dalle coreografie edeniche agli inni trinitari, alle danze circolari delle anime beate – simili ai balli terreni, la cui dilettevole esecuzione dipende solo dagli organi del corpo, «forti» del riconosciuto trionfo della carne “gloriosa” –, alla sinfonia delle sfere celesti, alle “circulate” melodie e alle divine “cantilene” armonicamente fuse con la «luce intellettüal» dell’Empireo.