All'alba degli anni Quaranta del Novecento, l'astrattismo a New York aveva vinto su tutti i fronti. Hilla Rebay riempiva le collezioni di Solomon Guggenheim di quadri astratti di Kandinsky e di Bauer, Katherine Dreier, con la sua Société Anonyme, faceva altrettanto. Anche se residui del realismo e di altri movimenti erano ancora presenti, la "pittura moderna" a New York era l'astrattismo, e nient'altro. Ma dall'Europa non venivano solamente i pittori astratti, venivano anche le teorie che li giustificavano; l'astrattismo era insomma, nel suo complesso, un prodotto di importazione proveniente dall'Europa. Qui c'era stato un gran lavorio teorico teso a legittimarlo: la tersofia e le dottrine gnostiche, l'antropologia e la psicologia della percezione, le metafisiche antiche e l'estetica musicale, erano state di volta in volta convocate per supportare o provocare il lavoro degli artisti. Ma negli Stati Uniti, l'astrattismo non si fermò. Trovò nuovi teorici e nuovi artisti; Greenberg e Rosenberg trovarono nuovi argomenti per un astrattismo tutto americano. E poi l'astrattismo mise capo ad altro; le sottigliezze intellettuali del minimalismo e del concettuale, l'irruzione barbarica della pop art, le predicazioni performative, formarono una valanga che, in una quindicina d'anni, si gonfio troppo e precipitò a valle lasciando, agli anni Sessanta, solo macerie e stagnazione.
Ma in Europa c'era stato anche altro. Qualcuno si era reso conto che al mondo non interessavano più la teosofia e la metafisica, che il mondo era fatto ora di scienza e di tecnica, e che era questa la nuova situazione nella quale l'arte doveva vivere e che, dunque, doveva, necessariamente, tenere a mente. Questo significò per l'arte perdere la sua identità e confondersi con quei territori tecno-scientifici che le erano stati estranei e ai quali essa era tradizionalmente ostile.
Anche questa nuova idea dell'arte penetrò negli Stati Uniti e dette luogo ad una storia che ho cercato di ricostruire altrove e che coincide con la genealogia del "sublime tecnologico".
Questo libro si occupa di quelli che mi sembrano essere stati i personaggi chiave di questa storia, così come io l'ho intesa e interpretata.
Mario Costa è stato un filosofo italiano (1936-2023). Professore ordinaro di Estetica presso l'Università di Salerno, ha già pubblicato, sulla questione dei rapporti tra l'ebraismo, le avanguardie e l'arte contemporanea:
Ebraismo e arte contemporanea, Mimesis, Milano 2020 e Ebraismo e avanguardie, Edisud, Salerno 2021.